mercoledì 21 marzo 2018

"La fanciulla e il cavaliere", 2a Parte


Era un vero dispiacere per lei rischiare di rovinare quelle scarpe basse e strette, dai tessuti pregiati e dai colori vivaci, tuttavia non poteva esimersi dal raggiungere quel promontorio almeno una volta al giorno.

Tornò a guardare quella distesa d’acqua, quella linea che, tiranna, non voleva dargli pace, non voleva mostrargli quelle ombre che tanto attendeva. Erano passati ormai più di una ventina di giorni. Molti erano in trepidante attesa; in città le chiacchiere si moltiplicavano, le dicerie più assurde circolavano. Non riusciva nemmeno a immaginare quanto fermento potesse esserci per il resto delle terre imperiali. Non riusciva a comprendere totalmente i discorsi che riusciva a origliare, ma, dato che perfino suo padre stava divenendo sempre più inquieto riguardo quell’accordo di pace che presto, forse, si sarebbe potuto raggiungere, aveva capito che la sua attesa non sarebbe durata ancora a lungo.

Dovette coprirsi il volto dalla furia del vento. La veste lunga e il soprabito che portava svolazzarono violentemente. Le due strisce della fascia dai filamenti dorati e azzurrognoli che aveva intrecciato per i capelli richiamarono il suo sguardo verso la città: da quella posizione rialzata le era possibile vedere il porto, le periferie più lontane e distanti, che non aveva mai visitato, e le mura cittadine che, al di là della sua visuale, finivano per circondare e proteggere anche quel faro e il suo promontorio. La strada sterrata che aveva continuamente percorso durante quei giorni declinava, vorticando, verso la spiaggia, costeggiando alcune costruzioni e fattorie, e da lì, con la mente, sapeva di poter raggiungere la via principale e così il centro cittadino. Fin da quando era nata, quel luogo era stata la sua casa e, per quanto fin dalla tenera età, la guerra l’avesse raggiunta, aveva vissuto in quella città tra le grida, l’animosità, l’allegria e le festività cittadine. Menpher era antica, così le aveva ripetuto varie volte suo padre. Le loro tradizioni lo erano altrettanto. Menpher vi era già prima dell’Impero e non aveva fatto altro che crescere, svilupparsi, circondarsi di nuovi venuti e nuove dimore.


“Tra pochi giorni, sorellina mia, capirai quale onore è partecipare alla Fesderan Aurrolon[1].”


Per quell’uomo, però, per quell’amore mai previsto era disposta ad abbandonare quella sicurezza, quella comodità, quella certezza che solo la sua città natale poteva trasmetterle.


“Alla fine tutto si ripete. Gli dei ci pongono davanti alle stesse prove, nel tentativo di capire se siamo ancora degni della loro benevolenza.”


Forse avrebbe dovuto maledire la sua bellezza, avrebbe dovuto odiare quel corpo longilineo e sinuoso che aveva fatto innamorare tanti uomini, che aveva portato tanti a chiedere il suo giuramento.


“Madre, sorella… avete anche voi sofferto un simile destino? La bellezza può essere così pericolosa?”


«Mia signora, il sole sta calando e suo padre voleva che il suo ritorno fosse ampiamente anticipato.»


«Capisco. Va bene. Torniamo.»


Si voltò e per un istante credetté che il vento, il sole o chissà quale misterioso prodigio divino la stesse ingannando. Nel punto in cui la stradina tracciava una stretta curva per costeggiare il promontorio in direzione della spiaggia e di Menpher, un cavaliere dalla luminosa armatura[2] e con un elmo dal pennacchio rosso avanzava senza essersi ancora girato nella loro direzione. Il mantello annodato vicino alla gola da una spilla dorata era nero, con due bande laterali rosse, e sopra vi era raffigurato un sole che, dall’alto “illuminava” il resto del tessuto.

Quando finalmente incrociarono lo sguardo, le fu finalmente possibile vedere quel sorriso e il suo cuore si riempì di gioia. Desiderò saltargli al collo, abbracciarlo, ma riuscì a contenersi. Notò solo quando il suo amato stava scendendo dalla sella che aveva la spada sguainata. Le si avvicinò con il fodero in una mano e la lama nell’altra.


«È una gioia poter rivedere il tuo viso» furono le sue prime parole e, prima di aggiungere altro, sollevò la spada, la ripose teatralmente nel fodero, si inginocchiò e la pose a terra«Il Dio Sole ci ha assistito. Torno qui, accanto a te, con buone notizie: la guerra è finita. Siamo in pace.»


“È finita. Chissà se potrò rivedere il tuo volto, fratello.”


Avrebbe voluto dire tante cose. Rivelargli la verità, raccontargli le sue paure, l’ansia che l’aveva divorata, l’amore che non l’aveva abbandonata. Le fu difficile, però, parlare. Non trovava le parole adatte, le sembrava tutto ancora così surreale.

Fu lui a prendere l’iniziativa: si avvicinò a lei, le prese una mano e sollevandola la strinse.


«Ci sarà il tempo per le parole. Prima, però, ho deciso di affrontare quella questione. Perdonami se il mio gesto ti importunerà.»


Non ebbe il tempo di fare domande e né di comprendere a cosa si riferisse. Il rumore di zoccoli li raggiunse e la durezza di cui si era ammantato il viso dell’amato le aveva fatto intuire abbastanza da non rimanere totalmente sorpresa quando vide apparire a cavallo suo padre e quattro guardie armate.


«Audace e molto stupido da parte tua far sapere in modo così plateale del tuo arrivo» esclamò Redna, capofamiglia della Casata[3] Cerbre[4], mentre scendeva da cavallo, aiutato da una delle sue guardie.


“L’hai fatto intenzionalmente? Perché?”


Avrebbe voluto domandargli. Voleva sperare che non si fosse già giunti a un inutile quanto inevitabile scontro. Quanto potevano essere maligni gli dei, se concedevano il concludersi pacifico di una lunga guerra, ma non di un litigio?

[...]


Una guerra finisce e un altro scontro si apre. Su questo "cavaliere" che vuole unirsi alla sua "principessa" il fato sarà molto crudele. In ogni caso, questo racconto non sarà l'unico incentrato su questa figura del passato.
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[1] È la festività più importante per la cittadinanza, in quanto festeggia la fondazione di Menpher: durante la ricorrenza, vi sono canti e balli per le vie più importanti e grandi banchetti offerti dalle famiglie più ricche della città. A sera, al culmine della festa, al porto, vengono disposte due colonne di barche, legate tra di loro e al centro una piccola imbarcazione a remi; su ogni barca vi è un singolo uomo con una torcia, mentre sull’imbarcazione vi sono due ragazzi e una ragazza, il cui compito sarà raccogliere con una tinozza l’acqua del mare e versarla sulla testa degli altri due. Secondo la leggenda, infatti, Menpher fu fondata da trentadue uomini, tuttavia i due fratelli che li guidavano furono sul punto di uccidersi per attribuirsi la guida del nuovo borgo; fu la sorella, frapponendosi ai due, a porre fine al litigio.

[2] Oltre alla corazza, formata da un’unica placca, di un lucente color bianco e su cui vi era stilizzato la figura di un uomo con una spada in mano, puntata verso l’alto, il cavaliere indossava due gambali di cuoio, un cinturone che teneva stretto l’orlo inferiore dell’armatura che proteggeva la zona pubica e infine, sotto la corazza, una leggera tunica nera.

[3] Per quanto nella lingua imperiale il termine possa cambiare da luogo a luogo, le famiglie mercantili di un certo prestigio e di lunga discendenza possono comporre ufficiosamente una Casata, rimanendo, però, comunque esclusa dalla nobiltà e dai titoli aristocratici imperiali, terreno privilegiato di potere per le Dodici Famiglie e per le Casate Cadette.


[4] “Croce”. Il riferimento del termine è legato allo stemma e alla storia del capostipite della famiglia: una croce aguzza e dal colore vermiglio; si narra che l’avo di Redna e Selein riuscì ad avviare la sua attività, quella che poi rese ricchi e potenti mercanti i suoi discendenti, grazie alla vendita di un “dono” che aveva ricevuto, una croce aguzza dal materiale resistente e sconosciuto dall’uomo e che, se posto controluce assumeva una tonalità vermiglia.

lunedì 19 marzo 2018

L'ECONOMIA: ISOLA DEGLI ACCORDI


Come già detto in precedenza, il governatorato degli Ur che sono giunti a visitare i "confini" del continente di Ethusa è solo una piccolissima frazione di un impero oltreoceano. Avendo già problemi e conflitti già per conto loro, il piano degli Ur, fin dal principio, è sempre stato quello di tenere una condotta neutrale, con l'obbiettivo di ottenere trattati commerciali e stabili rapporti con i regni che avrebbero incontrato. Tale comportamento non è mai cambiato e con i trattati che, svoltisi proprio sull'isola, conclusero la lunga guerra che aveva coinvolto Nhug, Zhelt e l'Impero, l'interesse per intavolare trattative crebbe enormemente. Proprio con l'Impero gli Ur hanno tentato, e sono riusciti alla fine, ad intessere un fitto scambio di merci: dai tessuti, che gli Ur esportano con grande facilità e interesse, ai metalli, di cui, però, gli imperiali, soprattutto se si parla di ferro, bronzo e rame, hanno maggior quantità e quindi riescono a esportarlo più agevolmente.
Nell'ultimo secolo l'aristocrazia imperiale ha iniziato a subire un vero e proprio fascino per determinati prodotti degli Ur, tanto da richiedere e infine ottenere l'apertura di "quartieri" in alcune città imperiali, agevolazione e privilegio che l'Impero concede molto raramente.
Un'ultima curiosità, piuttosto rilevante, è che i due imperi hanno stipulato un trattato che vincolasse gli scambi all'uso delle monete d'argento, specificando anche un determinato peso, così da diminuire i possibili problemi di cambio che l'Impero avrebbe potuto avere se si fossero usate monete auree.
Ora che una guerra sta per coinvolgere l'Impero, però, i rapporti rimarranno immutati...?

Sulla possibilità che gli Ur abbiano mire espansionistiche, meglio chiarire subito che sarà piuttosto improbabile. Nel continente d'oltreoceano il loro impero è in una situazione instabile e ha già sufficienti nemici. Su un loro eventuale intervento futuro, invece, nulla è certo, specialmente se si considera il misterioso rapporto che lega gli Ur agli abitanti dell'Isola dei Maligni.
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venerdì 16 marzo 2018

Eveny

È la compagna di Etan ed è un Master Elementale che controlla la terra. È una donna molto dolce e... [Appendice, L'Impero di Luce]

Quando ci si chiede fino a dove può spingersi un mago, allora, sebbene nella trilogia sarà lampante solo alla fine, questo è uno dei personaggi a cui rivolgersi. La possibilità di avere a disposizione un potere sconfinato e l'essere una donna gli ha creato non poche noie. Accerchiata e desiderata da un mondo fatto di uomini, fu la sua peculiarità a farla incontrare con l'uomo della sua vita, ma l'avidità, l'idea di poter combinare un'unione con una Maga Elementale irretì molti, finendo per mettere in pericolo anche la sua famiglia.
Si considera una "ricercatrice del pensiero e della realtà" e raramente ricorre alla violenza, anche se quando lo fa le conseguenze possono essere mortali. Proprio per le sue potenzialità e per la versatilità nell'uso della magia, è l'unica Master a detenere due tuniche: quella verde come Guaritrice e quella blu come Ingegnere.
Sarà lei a subire di più gli effetti della guerra che si scatenerà e a causa di ciò sarà proprio lei uno dei personaggi a cambiare radicalmente il proprio modo di agire e di pensare...

Nascita: 17° giorno del mese di Isna.
Età: 35
Altezza: 1.67
Provenienza: ???, Satrapia dell'Est, Impero.
Aspetto: donna affascinante, con occhi scuri, quasi neri, capelli biondi e pelle pallida.
Appartenenza: ???
Citazione: "«Non fare il padre preoccupato, Etan. I tuoi apprendisti hanno sempre saputo cavarsela da soli. Guarda Kitter: ormai è un Master e un uomo.»
 
«È anche una testa calda, incapace di ragionare prima di agire e...»
 
«Shh» lo placò pacatamente Eveny, posando la forchetta e guardando dritto negli occhi il suo compagno. «Non puoi risolvere tutti i loro problemi, amore mio, e non devi fartene carico. Devi avere fiducia in loro e sostenerli quando è giusto e necessario.»" [XVII - Un viaggio ricco di ricordi]

Quanto si può esasperare un sentimento? Fino a dove ci si può spingere per amore? E quanto quello stesso amore può convertirsi in un odio altrettanto forte?
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mercoledì 14 marzo 2018

"La fanciulla e il cavaliere", 1a Parte


“«Quando tornerò, ti porterò notizie di pace, mia amata. È una promessa.»”

Così l’aveva lasciata. Quelle ultime e sintetiche parole l’avevano quasi portata a rimpiangere le sue richieste. Avrebbe preferito che le rimanesse accanto, che la cullasse con quel suo sguardo magnetico e quel sorriso dolce e caloroso. Il tempo in cui vivevano, però, era difficile per gli innamorati. In tempo di guerra, vi era poco spazio per l’amore. Gli uomini andavano a combattere, in terre lontane, e le donne rimanevano a custodire il focolare, con apprensione e paura, in trepidante attesa. Il senno, però, dopo anni di sangue e morti, aveva finalmente raggiunto i regnanti e lei, egoisticamente, gli aveva chiesto, in lacrime, di fermare quella guerra, di permettere il ritorno, semmai fosse ancora vivo, di suo fratello.


“Che sciocca e viziata egoista… Come ho potuto fargli una richiesta simile?”


Levò lo sguardo verso l’orizzonte, in cerca della nave che lo avrebbe ricondotto da lei. Il vento soffiava pungente su quel basso promontorio, ma lei, dal giorno seguente che lo aveva visto allontanarsi per la distesa blu, lo aveva aspettato lì, vicino al faro che illuminava la via ai marinai e ai commercianti di Menpher.


“Al di là del cerchio accecante e infuocato, così vicino, eppure così lontano, stai lottando per porre fine alle ostilità che hanno tinto di rosso questo nostro mare. Vorrei solo poterti essere accanto, farti forza come tu hai sempre fatto con me.”


Accarezzò delicatamente il grembo con le mani. Avrebbe tanto voluto dirgli la verità prima che partisse, ma non voleva dargli anche quel peso. Voleva nascondere quel piccolo “seme” che stava germogliando a tutti, compreso a lui.


“O padre, perché non accettate questo nostro amore?”


Probabilmente, sarebbe stata ricordata come la più snaturata ed egoista delle figlie. Non solo avrebbe costretto[1] l’uomo che amava a quell’unione, ma presumibilmente suo padre l’avrebbe odiata per il resto dei suoi giorni, ripudiandola.

Suo padre, infatti, aveva già scritto il suo destino: il suo futuro Lurdr[2] era già stato designato; non vi era spazio per l’amore. Non aveva modo di scegliere, non poteva farlo, non era permesso. Quell’unione avrebbe consolidato il potere della loro famiglia, inglobando un’altra potente famiglia di mercanti. Suo padre era inamovibile. Ancor più, non avrebbe mai accettato un nobile di una delle Dodici Famiglie; non gli interessava che avesse un’importante, quanto sacra, carica nell’esercito imperiale.


“«Non vi è guadagno, né attrattiva in un pomposo aristocratico amante delle armi. Non accetterò mai una cosa del genere. Mai.»”


Sottostare alle volontà paterne, accettare quell’amore così ardente e gentile… Sembrava che la guerra avesse raggiunto persino la sua intimità, che non vi fosse tregua, che non vi fosse speranza.


“No. Non lo permetterò. Loro sono le persone a me più care. Non per me.”


Sapeva che il suo amato avrebbe lottato per il loro amore, che era capace di adirarsi quando un argomento irritante riguardava lei, che sarebbe stato capace di minacciare persino suo padre. Troppo cocente e devastante sarebbe stato per lui perderla.
Il suo genitore, però, d’altro canto, non era da meno: si era confrontato con persone di rango anche superiore e il suo carattere caparbio e deciso, per quanto educato e morigerato nei modi, lo aveva più volte portato a vincere degli scontri che chiunque altro non avrebbe osato nemmeno affrontare. Qualcuno, inevitabilmente, ne sarebbe uscito ferito. Doveva evitarlo.


«Mia signora, il sole sta per calare completamente. Non credete che sia il momento di tornare?» esclamò il suo servitore-guardia alle sue spalle.


«Sì. Andiamo. Domani è un altro giorno.»

[...] 




Questo racconto potrà sembrare, e in parte lo è veramente, una storia d'amore molto comune: lei che attende il suo ritorno, guardando l'orizzonte, l'amore inviso al padre di lei, lui un uomo forte e coraggioso. Ciò che davvero è interessante, però, è lo sfondo su cui tutto questo accade. Fateci attenzione, mi raccomando 😉.
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[1] In ambienti aristocratici, o comunque nobiliari, una donna rimasta incinta costringeva l’uomo “colpevole” a unirsi alla donna in questione. Se l’uomo non accettava tale condizione, la sua famigli ava pagava “un indennizzo” alla famiglia della figlia, con conseguente aborto o abbandono del bambino.


[2] “Compagno di vita”. È un termine bavarieno, divenuto d’uso comune nella Satrapia del Sud.