Attendeva in silenzio,
ritto in piedi, spostando lo sguardo ovunque, ammaliato dalle meraviglie e dai
tesori che quella dimora ostentava. Statue e busti granitici di uomini dal
volto austero e imperioso, mobilia intarsiata nelle forme più ingegnose e
mirabolanti, lumieri dalla grandezza e dal numero di candele spropositato,
vetrate ampie e splendenti, pavimenti in pietra bianca luminosi e quegli
infiniti corridoi della tenuta erano solo un pallido simbolo del potere che
quella nobile famiglia possedeva. Quante ricchezze si potevano trovare in
quella villa dispersa nella campagna della Satrapia dell’Ovest? Quanti antichi
manufatti erano nascosti e ammirati solo da mura silenziose e dalla servitù
operosa e indifferente?
«Fhard Mitt. Lo Iundar[1]
l’attende nella Plosa dudern[2].
Mi segua» esclamò un servo vestito di un abito lungo, nero, legato alla vita da
una fascia bianca, chinando la testa.
Passarono
accanto alla scalinata che dava al piano superiore e si diressero verso un
lungo corridoio. Rimase estasiato nel vedere la luminosa vetrata che
costeggiava le sue mura e che permetteva di vedere parte dell’immenso giardino,
delle sue fontane e dei prati di Iulie[3],
che, a detta di molti, erano un’autentica ossessione per Fhard Denzar. Notò la
costruzione a cui il corridoio permetteva di accedere con un certo ritardo: la
struttura era piccola, dalla forma vagamente squadrata e dalle mura di un rosso
acceso che finivano per formare un soffitto dalla forma appuntita, con gli
stemmi della Famiglia Cardas posizionati in punti prestabiliti. Si voltò
leggermente e si accorse che la villa alle sue spalle gettava su quel passaggio
e sul giardino la sua immensa ombra. Si stavano allontanando dalla struttura
principale per dirigersi forse in un ambiente più intimo? Era un segno, forse,
che la sua lettera avesse destato un certo interesse?
Strinse con forza le
pergamene arrotolate che aveva in mano e sentì dentro di sé montare la
determinazione. Sentiva che stavolta non avrebbe fallito. Aveva ricevuto tante
porte in faccia, derisioni, insulti persino, ma il momento di gloria sarebbe
arrivato anche per lui; ne era certo. E avrebbe fatto in modo di rinfacciarlo a
quanti lo avevano denigrato.
“Io
resterò nella Storia, mentre voi, ottusi ignoranti, incapaci di intravedere il
futuro, sparirete nell’oblio del tempo.”
Quando
finalmente riuscì a vedere le porte che permettevano di entrare nella
struttura, il bosco che veniva usato dalla Famiglia Cardas per le battute di
caccia non era troppo distante. Notò rapidamente due guardie che, sebbene in
abiti normali, portavano lunghe e possenti spade; una delle due lo scrutò a
lungo, guardingo.
Il
servo, dopo aver chinato rispettosamente il capo di fronte alla guardia, bussò
alla porta e per un attimo volle persino fermarlo: le effigia e i vari intarsi
lungo quelle porte in legno si suddividevano in scene antiche, suggestive,
capaci di attirare l’attenzione di qualunque spettatore. Era mai possibile che
persino una semplice entrata, un oggetto di legno di così infima importanza,
potesse avere un simile valore?
Non
si udirono voci. Le porte si aprirono verso l’interno, lasciando la possibilità
di far accedere una singola persona. Il servo si spostò e indicò la via.
Gli
sembrò quasi di profanare un tempio. Si trovò davanti a un breve e stretto
corridoio dalle pareti bianche. Prima di entrare nella sala vera e propria, si
voltò, colpito dall’improvviso rumore che le porte fecero quando furono chiuse
dalle due guardie che precedentemente avevano aperto dall’interno le porte e
che si erano posizionate davanti all’entrata.
Con
il desiderio di non soffermarsi sui pensieri che la sua mente stava già
elaborando frettolosamente, riprese a camminare e si addentrò in una piccola
sala, dalla forma ottagonale: oltre alla mobilia più varia, si poteva ben
vedere il camino, spento in quel momento a causa della stagione estiva, quattro
librerie dove erano raccolti decine e decine di tomi e, proprio sopra il
camino, un affresco di un uomo che, imperante e seduto su una poltrona
accarezzava un lupo dal pelo grigio e dallo sguardo ferino. Come era possibile
che ci fosse tanta nitidezza? Come poteva essere così “potente” una semplice
immagine su un muro?
Mitt,
ovviamente, non ebbe il tempo di soffermarcisi troppo. La sua attenzione fu
rapidamente attirata dall’uomo che sedeva, tranquillo, su una poltrona che dava
le spalle a quel meraviglioso affresco.
Il Fhard Denzar era un
uomo dall’aspetto giovane e prestante, dalla capigliatura di un biondo chiaro e
lunga nel limite che era comunemente e socialmente imposto per gli uomini; gli
occhi, intenti a leggere delle pergamene, erano di un blu profondo, glaciale.
Non aveva barba, né baffi. Notò solo di sfuggita l’unico difetto corporeo che
quell’uomo era incapace di mostrare: sebbene curata, era impossibile nascondere
il dito mancante su quella mano che teneva saldamente la pergamena che il
nobile capofamiglia leggeva. Vestiva abiti “semplici”, se tali si potevano
definire: un lungo indumento, composto da fasce dorate e ricamato con fiori sul
petto, chiuso da una fila di bottoni dal colore rosso al centro e dorato nei
bordi; le calzature erano sandali sulla cui parte frontale era stata posta
della stoffa con la ricamatura dello stemma famigliare.
“Questo
è il discendente di Huldan, la Mano Destra del re. Colui che, forte di soli
diecimila uomini, aveva sfidato le armate del Regno di Otsu, aveva vinto e
infine ne aveva assediato la capitale. Solo la Famiglia Ura, al momento, è
capace di sfidare in prestigio la Famiglia Cardas. Chissà cosa si prova a
toccare per mano la vera essenza del ‘potere’.”
«Alzatevi e sedetevi,
Fhard Mitt» esclamò la sua voce cristallina e atona.
Con le gambe
leggermente tremolanti, si issò e si sedette sulla poltrona che era stata
disposta davanti allo Iundar e a un piccolo tavolinetto rialzato su cui vi
erano due tazze fumanti e un vassoio ricco di prelibatezze.
«Spero che abbiate voglia
di fare uno spuntino con me.»
«Sarebbe un onore.»
«Il tisium[4] è
di vostro gradimento?»
«Naturalmente.»
«Bene, allora
prendiamoci un poco di tempo per ristorarci. Appoggi a terra i suoi progetti.»
Un subdolo pensiero gli passò per la mente, ma lo soppresse. In ogni
caso non avrebbe potuto fare niente per impedirlo in quelle condizioni,
tuttavia era certo che le sue paure fossero infondate.
Ristorarono per breve
tempo e in silenzio, tra l’imbarazzo e il disagio di Mitt e la tranquillità di
Denzar. Avrebbe preferito che la questione venisse affrontata di petto e molto
più rapidamente. Quando, alla fine, entrambi ebbero finito di sorseggiare il
contenuto delle due tazze, il capofamiglia piegò la pergamena che fino a quel
momento aveva letto avidamente e la depose su un mobile rialzato e rettangolare
che aveva disposto alla sua destra.
«Prima che mi esponga
il tutto con le dovute spiegazioni, voglio informarla che non è stata la sua lettera
a indurmi a convocarla.»
Per un attimo, Mitt
sentì il pavimento crollare e sprofondare.
«Dieci giorni fa sono
stato a un banchetto a corte e ho sentito una curiosa chiacchiera da un Fhard
della nobile Famiglia Glar Ruiss. Sembrava che, a suo dire, un folle gli avesse
proposto di finanziare un progetto inutile, superfluo e dozzinale: una
fortificazione di immensa portata al nostro confine settentrionale. Ha dato
qualche descrizione ma sono rimasto poco ad ascoltare. Coloro che disprezzano
qualcosa non sono la fonte più sicura da cui prendere informazioni. Raramente,
infatti, si scopriranno veritiere.» spiegò Denzar, rincuorando non poco Mitt, e
aggiungendo «La mia innata curiosità, tuttavia, mi ha divorato per giorni,
finché, come avevo supposto, ho ricevuto la sua lettera. Chi è stato il vostro
insegnante, Fhard Mitt?»
[...]
Questo racconto nasconde un piccolo input, un collegamento di una certa importanza con la trilogia. Inoltre, per la prima volta, viene presentata la "testa" di una delle Dodici Famiglie. Sull'aristocrazia imperiale vi sarà molto da dire e tanto da scoprire, tuttavia è importante non prendere Denzar come modello della nobiltà. Per molti versi, il Fhard è decisamente... particolare 😉.
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A presto e stay tuned 😁.
[1] “Capo-famiglia”. È un termine
usato solitamente dalla servitù e dai membri di una stessa famiglia nobiliare. Raramente
è usato da estranei.
[2] “Sala degli Ospiti”.
[3] Fiori tipici di una zona fra il
Fiume di Tumb e la cittadina di Klett. Ha petali di un vivido color rosso e la
parte centrale bianca.
[4] Frutto da cui si estrae
l’omonimo succo e che, se riscaldato, ha un sapore molto ricercato e raffinato.