Il
vessillo sventolava sferzato dal vento. Era una giornata solare, ma le
temperature a causa della stagione invernale rimanevano rigide.
Dall’alto
del suo balcone, che svettava da uno dei torrioni del palazzo reale, riusciva a
vedere la vivace città: palazzi a più piani, residenze nobiliari, giardini e oasi verdi, immense strutture dal tetto
rettangolare costruite appositamente per gli esercizi commerciali, le mura, i
monumenti degli antichi re e dei capostipiti rendevano quella che aveva davanti
l’unica e incomparabile Capitale del Regno di Bavarie. Tante erano le storie
che la circondavano, i miti, le leggende, ma lui l’aveva sempre vissuta come qualcosa
di molto più presente e tangibile. I Re del passato, suoi predecessori,
l’avevano costruita, innalzata fino al punto a cui era arrivata; era
necessario, ora, che si compisse l’ultimo passo, quello che l’avrebbe
consacrata nei secoli dei secoli.
Abbassò leggermente lo
sguardo e si concentrò sulla Vurdenstag[3]:
il viavai di nobili e di persone era impressionante, tale da riempire quasi
completamente la piazza al cui centro vi era la statua granitica di un uomo
seduto su un trono in direzione della città, con di fronte un altare; anche il
numero dei soldati non era esiguo e, a causa dei mantelli bianchi come il
latte, erano facilmente visibili e individuabili. Sorrise lievemente al
pensiero di Undrad, il Poldron della Guardia Reale, dare ordini a destra e a
sinistra, senza un attimo di pace. Quell’uomo era instancabile, ma quel difetto
era da molti riconosciuto come una delle tante qualità che gli avevano permesso
di raggiungere il grado più ambito di tutto il regno.
“Sono
anni che monta la guardia sulla Vurdenstag; eppure sembra che non voglia capire
che la piazza fa da collegamento a quasi tutte le vie principali della
capitale… Morirà giovane se continua ad affaticarsi in quel modo.”
La
sua attenzione si spostò nuovamente, posandosi su uno dei tanti cortili
all’interno della cinta muraria che proteggeva la corte. Gli alberi spogli, i
prati verdeggianti, i millibus verdi e resistenti anche durante il rigido
inverno, le stradine pavimentate, avevano accompagnato anni della sua ancora
breve vita. Provava un immancabile senso di nostalgia a quella vista; il suo
rector[4]
era morto da due anni, tuttavia continuava a sentire una certa malinconia al
suo pensiero, ai suoi insegnamenti sugli uomini e gli dei.
Evansburg si voltò,
sospirando. Avrebbe onorato la sua memoria. Un giorno, presto, gli avrebbe
dimostrato come quel sogno fosse
realizzabile. Si avvicinò a un tavolino e si sedette, prendendo la piuma e
concentrandosi per finire di scrivere la lettera alla sua veneranda e
rispettabilissima zia. Al lato opposto di dove si era seduto, dietro due
vasetti d’argilla, vi erano innumerevoli stracci di pergamene. Odiava fingere.
Complimentarsi con chi semplicemente non aveva mai portato alcun giovamento al
regno era quanto di più detestabile gli si potesse chiedere. Suo zio e sua zia continuavano
a vivere come parassiti sulle spalle della loro famiglia e lui non riusciva a
comprendere perché il suo onorabile padre permettesse un simile comportamento.
Chi non si adoperava per il bene del regno era solo un peso. Ridicoli insetti
da emarginare e schiacciare. Eppure… eppure suo padre chiudeva gli occhi. Forse
la vecchiaia lo stava…
“No!
Non posso pensare una cosa del genere.”
Non
poteva e non voleva. D’altronde suo padre aveva condotto il regno verso una
svolta epocale: da decenni un periodo stagnante e decadente aveva colpito
Bavarie ed era sembrato che il tracollo fosse irreversibile. Fino al giorno in
cui suo padre non aveva deciso di porre fine a quella situazione. La conquista
di Darser[5] non era che il simbolo, l’estremo emblema
della trasformazione e del rinnovamento che tutto il regno continuava a
respirare. Non riusciva nemmeno a concepire che suo padre stesse “risparmiando”
suo fratello.
Un rumore alla porta lo
fece tornare alla realtà. Attese che la voce si presentasse.
«Dragh[6],
sono Ludgur. Mi è permesso entrare?» esclamò una voce profonda e potente.
«Entra.»
Le porte delle sue
stanze si aprirono e un uomo dai capelli grigiastri, dalla folta barba e
dall’aspetto attempato si presentò, muovendosi rapidamente e inginocchiandosi.
Indossava un’armatura pesante e una spada dalle notevoli dimensioni al fianco
destro.
«Dragh, Sua Maestà vi
attende al Ruddegar[7].»
«Ti ringrazio per
essere venuto personalmente ad avvertirmi, Ludgur l’Embercar[8]»
gli rispose, alzandosi e avvicinandosi a lui.
«Era da tempo che non
eravate così formale, Giovane Re[9].
Siete nervoso?» ribatté l’anziano guerriero, sempre a capo chino e
inginocchiato.
“…
mi conosci davvero troppo bene, Gigne[10]
Ludgur.”
«No. Semplice stanchezza.
Presenziare al banchetto di ieri è stato fin troppo noio… » gli spiegò, venendo
interrotto, tuttavia, da un borbottio forte e imperioso da parte di Ludgur.
«È meglio che vada. Non
faccia attendere Sua Maestà.»
Evansburg
sorrise, divertito, poi sussurrò nuovamente un ringraziamento a quel vecchio e
fedelissimo suddito e uscì dalle sue stanze, sorvegliate da due guardie.
Mentre camminava tra
gli austeri, ma poderosi, androni della reggia, lanciando qualche occhiata
distratta alle sculture, all’esterno attraverso lunghe vetrate e a drappi di
vario genere, colore e fattura, ponderò su quanto, ultimamente, la sicurezza in
città e al palazzo fosse stata aumentata. Trovava sciocco e inutile
preoccuparsi dei vaneggiamenti di un folle. Quell’idiota, l’Idiocrate[11] di
Guldraos, da più di tre anni aveva cominciato, inspiegabilmente, a bofonchiare
di come, presto o tardi, avrebbe fatto in modo di ammazzare tutti i rami dei
Dragarsc[12].
Naturalmente, almeno secondo la sua opinione, non vi era nulla di cui
preoccuparsi. Gli sciocchi spesso parlavano aprendo la bocca e proferendo le
più assurde asserzioni; suo padre, tuttavia, non era stato dello stesso avviso.
Guldraos era, da diverso tempo, diventata una spina nel fianco, che aveva
giovato dei ripetuti e fallimentari assedi che avevano tentato. Le mura della
città li avevano sempre respinti e il supporto, indiretto e sotto banco, della
Druvan-roufren[13],
formalmente neutrale nei confronti dei bavarieni, aveva permesso all’insulsa
città di riprendersi e, persino, di potenziare il proprio esercito.
“Arriverà
il giorno in cui le chiacchiere non lo salveranno più.”
Da anni suo padre stava
tentando di allentare l’informale accordo che univa la lega a Guldraos, ma
qualunque tentativo sembrava fallire. Forse avevano esagerato e avevano
impaurito fin troppo i loro “vicini”. Non sarebbe stato facile uscire da quella
situazione.
“In
ogni caso, è eccessiva e spropositata la dimensione che ha raggiunto la
guarnigione. Non dovremmo mostrarci così ingenui e timorosi da credere alle
parole di un qualunque idiota.”
Svoltando all’ennesimo
angolo, alzò lo sguardo e si trovò davanti alla ripida scalinata che conduceva
al Ruddegar. Piccole colonnine adornavano i lati della gradinata e una folta
guardia armata lo attendeva nei pressi delle modeste porte di quella famosa sala.
Quando vi si parò davanti, quello che doveva essere il capo di quel manipolo di
uomini, si inginocchiò e si rialzò senza proferir parola, per poi, infine,
avvisare del suo arrivo con tre colpi di uno dei battenti.
«Il Dragh Evansburg è
qui.»
[...]
E così si conclude la prima parte di questo racconto. L'episodio che viene mostrato, in realtà, rappresenta non tanto l'inizio di una nuova era, ma più semplicemente una dichiarazione di intenti.
Per quanto molti dei riferimenti geografici possano essere un po' nebulosi, prima o poi cercherò di creare una cartina del periodo pre-imperiale, ma per adesso considerateli come sfuggevoli riferimenti.
Spero di avervi incuriosito; la prossima settimana inserirò la seconda parte, quindi, abbiate solo un po' di pazienza.
Per qualunque domanda o confronto potete lasciare un commento sulla Pagina Facebook Gli Annali della Caduta oppure direttamente qui sul blog.
A presto e stay tuned 😁😉.
[1] Graal Evansburg, “Prima di
Evansburg”.
[2] “Patrona”.
[3] È un termine che nella lingua
imperiale è scomparso; indica la piazza principale di una città.
[4] “Precettore”.
[5] Antica Città-Stato, situata
vicino le Cime Tempestose.
[6] “Principe”. In ambito religioso
può anche significare “Disceso” e tale termine viene spesso accompagnato dalla
formula: Dragh dru Vaurt, “Disceso dal Cielo”.
[7] “Sala degli Illustri”. Il
termine è spesso usato per indicare o per riferirsi a personalità d’alto rango,
ovvero i pochi che possono accedere e presenziare in tale sala.
[8] “Il Memorabile”.
[9] In quel periodo, a corte e in
vari ambienti aristocratici, Evansburg veniva insignito di questo soprannome.
[10] “Vecchietto”. È un termine che
Evansburg storpia leggermente in senso affettuoso.
[11] È l’autorità più importante di
una città-stato situata tra le future Tern e Militem. Evansburg storpia il
termine, dato che la lingua è in parte differente, che sarebbe Ediocratos.
[12] “Aquila”. Il termine, in realtà
si rifà, più precisamente, a un rapace che vive sulle Cime Tempestose, la
Vellmstrat.
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