Assaporare
quell’aria fredda, quell’atmosfera così magnetica, ultimamente era diventato un
obbligo più che un passatempo: si sedeva vicino la finestra, sotto la pallida
luce della luna e si metteva a osservare la roccaforte, poi la piana e infine,
in lontananza, i Monti del Confine. Quello sfondo, quel paesaggio, sembrava
urlare la sua forza, l’ignoto che cercava di celare a uno sguardo distratto.
Tommer era giunto solo
da qualche mese alla Fortezza di Mitt ma non poteva che ritenersi soddisfatto.
Per cinque anni aveva cercato un luogo dove riposare, dove fermarsi a
riflettere, a capire cos’altro la vita poteva riservargli. Aveva perso la sua amata
compagna, non aveva figli e le conoscenze che poteva definire amicizie erano
distanti, alcune, forse, ormai recise.
“Quanto
ancora potrò sfuggire? C’è davvero altro che mi attende in questa vita?”
Arrivare
a cinquantacinque anni era già un traguardo, non aveva idea quanto lo fosse per
un Master come lui, ma, comunque, tutto sembrava così futile davanti a una vita
che lentamente raggiungeva l’arco conclusivo senza aver lasciato nessuna
traccia concreta. Cosa rappresentava vivere, senza aver lasciato un segno, una
prova del proprio passaggio, della propria esistenza? Quelle domande lo
tormentavano spesso.
Sospirò e si concentrò
sui banchi di nuvole che nascondevano le vette di quelle montagne che parevano
toccare il cielo e le stelle, dimora degli dei.
“O magnificente
madre,
o meravigliosa
Natura,
perdona le mie
colpe,
mostra il tuo
splendore,
culla
i nostri animi.”
Doveva averla letta o
sentita su qualche tomo, ma non aveva idea di chi fosse l’autore. Ebbe, però,
la netta sensazione che, chiunque l’avesse formulata o scritta, doveva aver
avuto davanti uno spettacolo molto simile a quello che adesso lui poteva
ammirare.
“Forse
dovrei partire e basta. Attraversare i monti e sparire. Chi soffrirebbe per la
mia perdita? Chi proverebbe rancore per la mia decisione?”
Fu un rumore, un lieve
tocco a sorprenderlo, a prendere una decisione per conto suo. Inizialmente
credette persino di esserselo immaginato, ma un secondo tocco lo convinse ad
alzarsi, chiedendo al visitatore di presentarsi.
«Sono Atlem, Comandante
della Fortezza di Mitt.»
Sorpreso, raggiunse rapidamente[1] la porta e la aprì, chinando il capo. Il guerriero imperiale entrò nell’appartamento, attese che Tommer richiudesse, poi chinò anch’egli il capo.
«Spero che questa
tranquilla serata non vi stia annoiando, Master Tommer.»
«Tutt’altro, Comandante
Atlem. Trovo piuttosto… suggestivo il paesaggio che è possibile ammirare da
questa fortezza. Ma, comunque, non parliamo in piedi. Prego si sieda.»
Si misero intorno al
piccolo tavolinetto posto centralmente nella stanza, alla luce di una lanterna
appesa al soffitto.
«Cosa la porta a farmi
visita, a quest’ora della notte?»
«In realtà, semplice
curiosità. Sono passati a malapena cinque mesi dal vostro trasferimento, e da
quello che ho saputo è stato su sua richiesta, e mi domandavo quali fossero i
suoi interessi qui, al confine nord dell’Impero. Mi perdoni, se posso sembrare
impudente o invasivo, ma è molto curioso il suo arrivo, considerando che negli
ultimi anni i maghi spesso hanno cercato di evitare di farsi trasferire nelle
roccaforti settentrionali.»
Rimase interdetto, incapace di formulare una risposta convincente, anche perché probabilmente nemmeno lui era certo di cosa effettivamente lo avesse spinto a richiedere una simile collocazione.
«Inoltre,» continuò
Atlem, notando il silenzio del suo interlocutore «nell’ultimo periodo non vi
sono stati grossi movimenti da parte dei Barbari, se non la scaramuccia di due
giorni fa[2],
in cui il suo intervento è stato indubbiamente utile ma non essenziale per la
vittoria. Dunque, in tono totalmente confidenziale, mi dica perché si trova
qui. C’è qualcosa che dovrei sapere?»
Poteva
davvero fidarsi? Non aveva avuto molto tempo per conoscerlo, anzi in quei mesi
aveva avuto solo sporadici incontri. Aveva sentito storie, dicerie, ma nulla su
cui basarsi realmente.
Decise di ascoltare le
sue sensazioni. Non poteva rifiutarsi di rispondere e qualcosa gli diceva che
mentire sarebbe stato controproducente.
«Comandante Atlem, io...
[...]
Questa Cronaca racconta una delle tante sottotrame che si snodano intorno alla Storia principale. Per quanto, infatti, Tommer non sia un personaggio principale, ho sempre voluto dargli più spazio rispetto a quello che ebbe nel romanzo, descrivendo soprattutto il suo particolare rapporto con il Comandante di Mitt, Atlem.
Per qualunque domanda o confronto potete lasciare un commento sulla Pagina Facebook Gli Annali della Caduta oppure direttamente qui sul blog.
A presto e stay tuned 😁😉.
[1] Al tempo, non aveva necessità di
usare il bastone, anche se la sua schiena stava già assumendo quella forma
incurvata e leggermente ingobbita che avrebbe avuto quando conobbe Amer ed
Etan.
[2] Varie tribù minori hanno sempre
cercato e cercano di migrare verso sud e di forzare i confini imperiali. La
maggior parte di questi scontri non raggiungono nemmeno le mura delle Sei
Fortezze.
Nessun commento:
Posta un commento